Gioco di specchi
Gesti oscenamente ripetuti
Sguardi
Insistito osservare da insolito punto di vista
A fuoco il piacere disciolto in fumosi contorni
Labbra e dita avide nell’offrire perversi sentieri
Insolito inseguirsi di parziali visioni
Guizzare eccitato
Rifrazione vogliosa
Mi sciolgo all’unisono con la bagnata esplosione
Banchetto di meretrici dell’anima
Il nostro
lunedì 21 aprile 2008
sabato 19 aprile 2008
Oscenamente femmina
Scopata. Riempita violentemente. Colmata in ogni anfratto. Devo sentirmi femmina. Il mio sangue grida il bisogno osceno che agita la mia anima e colora le mie cosce. Mi guardo allo specchio. Vorrei mi bastasse quel pugno che ritmicamente colma la mia …america. Ma non basta. Anzi. Pulso contro le mie stesse dita. Insoddisfatta. Smaniosa. Mi manca l’aria. La stanza mi soffoca. Devo uscire. Andare per le strade. Vagare e fermarmi. In attesa evidente della preda. A caccia bella signora. E’ giunta al stagione. Hanno aperto le gabbie. Oddio deliro. Non riesco a mettere in fila un pensiero lucido con l’altro. Ondeggio in preda ad un languore che mi spossa. Cerco nell’armadio una vecchia gonna nera al ginocchio. La camicia bianca, sbottonata fino al solco dei seni, e lui, un bustino di vernice nera, che ho recuperato su una bancarella di Piccadilly Circus, anni fa. Mai messo. Ma oggi è il giorno giusto. Tacchi a spillo, giacca di pelle e volo fuori. Niente auto. Cammino ondeggiando sui tacchi. Ad ogni falcata sento le cosce sfregarsi e la fica rispondere pulsando. Devo trovarlo in fretta o non sarò più capace di discriminare.
Mai che ce ne sia uno a portata di mano, quando davvero ti serve. Cazzo. Non riesco a pensare ad altro. La cappella rosea gonfia di voglia. L’asta ondeggiante. La durezza pulsante tra le mie labbra. E poi quello sbattere ritmico, violento, senza cura e attenzione. Il suo peso addosso. Il suo odore che mi avvolge, i denti sul collo e la voce che mormora nell’orecchio quella parola…Un rivolo scivola lento lungo la mia coscia nuda, resisto a stento alla tentazione di sollevarmi la gonna e assaggiarlo.
Il clito pulsa prepotente. Ne ho bisogno. In questo momento ho tutta la più profonda comprensione per quanti in preda ad una crisi di astinenza compiono i gesti più assordi. Al bisogno non si comanda. Io al mio nemmeno ci provo. Raggiungo una vecchia pasticceria del centro, locale noto per la fauna a pagamento, che vi circola. Ma anche se potrei e, a volte, l’ho fatto non è questo che sto cercando stavolta. Lo oltrepasso mi dirigo, svelta, verso piazza Scala. Mi siederò davanti ad una coppa di crystal nel foyer di quel vecchio albergo pieno di charme. Devo riordinare le idee. Studiare un piano. Trovare alla svelta la mia preda. Il cameriere non riesce a staccare gli occhi dal mio culo mentre lo precedo al tavolo. Ondeggio, seduttrice oscena della mia stessa voglia. Mi siedo e mi attacco al bicchiere di crystal come se davvero potesse placare la mai sete. Illusa. Mi guardo intorno da dietro la coppa di cristallo. Non c’è un solo maschio. Tanti piccoli insignificanti omuncoli incravattati o meno, ma nemmeno un maschio. Il clito ripulsa tra le mie cosce accavallate quasi potessi correre il rischio di dimenticarmi di lui. Non posso arrendermi. L’america non funziona. Ho bisogno di cazzo. Lascio una banconota sul tavolo e esco. Il sole mi accarezza. Questa città puttana a primavera fiorisce come un’orchidea, offrendosi sfrontata in tutte la sua riposta bellezza. Cerco una sigaretta nella borsa mentre procedo rapida verso i giardini. L’accendo e aspiro avida. La panchina all’ombra della rilucente statua del vecchio Montanelli è la mia preferita. Il fascino della lettera 22, probabilmente. Mi siedo. Il punto di osservazione è perfetto, accavallo le gambe. Chiunque passi ha una visione precisa delle mie…intenzioni. E ne passano diversi. Sono quasi decisa a tornare alla pasticceria e a mettere fine a questo tormento, quando…
Dalla curva del viale sbuca un ragazzo, perché è questo, solo un ragazzo. La maglietta sudata gli aderisce al torace. Il suo odore di maschio mi stordisce. I nostri occhi s’incrociano. Mi spoglia con lo sguardo, quasi compiaciuto di quello che vede. Fottiti penso anzi meglio vieni a fottermi. E’ pieno giorno. Bambini vocianti si spargono tutto intorno a noi sui prati. Voci di mamme e di nonne colorano l’aria profumata. Le ignoro. Mi avvicino alla mia preda. Lenta. Il ragazzo si è fermato. Ha una posa da sbruffone, provocatoria, il bacino proteso in avanti sotto i pantaloni della tuta che gli cadono sui fianchi snelli, scoprendo quella striscia di pelle abbronzata in cui non vedo l’ora di affondare le unghie. Lo afferro per i glutei e lecco un rivolo di sudore che gli cola sulla gola. Il clito si contrae spasmodico. Un calore vischioso scivola lungo le mie cosce. Il ragazzo infila prepotente una mano sotto la mia gonna. Non riesco a pensare. Sento. La ruvidezza della corteccia dell’albero contro cui mi ha spinto. La forza maschia delle sue mani, che affondano nel mio calore. Pulso contro quelle dita che mi dilatano senza riguardo alcuno. Il tacco affonda nel suo polpaccio. Mi guarda negli occhi. Non abbiamo ancora detto una parola, non che ce ne sia bisogno. Gli sguardi parlano con tutta l’eloquenza del caso. Sostengo il suo mentre gli faccio scivolare il cazzo fuori dalla tuta. Mi riempie la mano. E’ un attimo. Ora la corteccia scortica la pelle delicata dei miei capezzoli mentre l’uccello del ragazzo affonda nella mia carne avida. Assecondo il suo ritmo violento. Le sue mani artigliano i miei fianchi rotondi. Il mio culo è incollato al suo bacino. Il clito sfrega contro le palle gonfie. Godo. Pulso stringendolo dentro la mia fica fradicia. Ancora e ancora. Ansima nel mio orecchio quella parola…Troia: strano, come cinque lettere possano racchiudere un mondo di voluttuoso piacere. Esplodo mentre mi tappa la bocca con un bacio violento. Mi morde le labbra alla ricerca del sangue. E mi riempie. Stringo i muscoli del bacino mentre i fiotti mi colmano di calore vischioso. Rimaniamo senza fiato, abbandonati contro la corteccia di quel l’albero che chissà quanti incontri così ha visto. Il ragazzo sfila un fazzoletto candido dalla tasca della tuta e me lo passa tra le cosce. Un sussurro: “Lo conserverò!!”. Lo afferro per l’elastico della tuta e gli infilo nell’inguine il mio biglietto da visita, che ho pescato alla rinfusa dalla tasca della giacca.
“Au revoir”. Mi allontano, guardando l’orologio, è tardi. Devo ancora andare a casa a recuperare l’auto e correre a prendere il mio cucciolo all’asilo. La città intorno a me ritorna a fuoco. Sorrido.
giovedì 24 gennaio 2008
BRANDELLI DI ME
Come su un foglio strappato. Imbratto le righe con brandelli di anima. Vomito parole. L’inchiostro si spande mio malgrado sul biancore di questo foglio rubato.
Lampi di ricordi. Sensazioni, che vorticano ancora nello stomaco, incapaci di quietarsi. Emozioni a fil di pelle. Nervi e piacere. E ovunque calore. Calore nella memoria di volti sorridenti a tarda notte, in una camera d’albergo, senza divano. Camomilla e coca cola mentre le parole fluiscono leggere nella loro intensità.
Calore, in quel ferro di cavallo allargato, nella bellezza di quei volti seduti intorno. Calore nell’amalgama spontanea di persone inesorabilmente differenti. Spontaneo chiacchiericcio. Cercavi una lacrima dolce. Non l’hai avuta. Ma io ho pianto. La mia anima ha stillato sudore salato. Non puoi non averlo visto. Mi ha regalato le mie parole in confezione deluxe. Curate, limate, trasformate da diamante grezzo in un gioiello montato in platino e sfaccettato di mille riflessi. E’ stato come se mi avessi pugnalato. Mi hai lasciato lì nuda. L’anima esibita. Senza fiato. Ne parole. Non ero commossa. Ero colpita dalla forza del sentimento. Dolorosa estasi dell’anima.
Lo stomaco si contrae. Spasimi successivi. Ancora lampi. I ricordi colano fuori.
La voce di Amy. Lo scorrere caldo di mani intrecciate. E’ passato così tanto tempo. Non credevo nemmeno di ricordare. Di essere ancora capace. E invece quella bocca morbida. Le curve intriganti di quei seni bianchi. I piccoli capezzoli ritti sotto i miei denti. La sua mano che affonda tra le mie cosce. E le tue mani che scorrono ovunque sulla mia pelle ambrata. Quietando ciò che impossibile quietare. Divoro la bocca di quella donna generosa e bellissima. E in ogni istante ti sento. Intorno a me. Fuso nel calore che cresce. Nella voglia, che mi contrae la fica. Mentre dita mescolate vi penetrano. Doveva essere un massaggio. E’ diventato un attimo di perfetto, inaspettato, rutilante piacere nel caos di un giorno qualunque.
Il perlage del franciacorta colma i bicchieri di intenso sapore. Il vino scorre lieve in gola mentre seduti intessiamo una trama di parole fitte e vere. Piacere condiviso.
Ancora una volta.
giovedì 10 gennaio 2008
40 ANNI COSI'....
Tinto Brass sostiene che la midi agè.. quell'età compresa tra i 38 e i 45 anni sia l'età migliore di una donna. Quella in cui risplendere senza pudori o false modestie.
Mai avute ne le une ne le altre ma risplendo in effetti...
In questo film la Sandrelli aveva 40 anni, guarda caso, ed era burrosa, morbida traboccava erotica seduzione ad ogni passo...
Così tanto per farmi gli auguri...
vi regalo questo video.
Del resto quelli che se ne intendono dicono le somigliiii
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