Era furiosa. Addolorata. Ferita. E furiosa. Si aggirava come una belva in gabbia. Il sangue le ruggiva nelle vene. La mente non riusciva a staccare un dannato minuto da quel dolore rabbioso. Non sapeva nemmeno lei perché si lasciasse divorare così. Lei aveva sempre il controllo delle sue emozioni. Sapeva attendere. E colpire con precisione millimetrica. Non scopriva mai il fianco e feriva con precisione millimetrica. Sempre e comunque laddove aveva voluto colpire. Eppure. Quel dannato ragazzo l’aveva spinta talmente oltre, che si era scoperta. Dannazione non era davvero da lei. Calma. Doveva stare calma. Respirare. Controllarsi. Non si era nemmeno accorta di essersi scorticata i polsi con le unghie laccate di un viola, sorprendente per chiunque, ma non per lei. Guardava quasi stupita il suo sangue sgorgare da quei graffi sottili. La mentre proiettata altrove. Verso l’odore di un'altra pelle ferita, di un altro sangue sgorgante e di lacrime che, finalmente, l’avrebbero placata. Forse.
Doveva andare là. Nell’unico luogo in cui sapeva sarebbe stata compresa totalmente. Nel luogo in cui, il balsamo dolce dell’obbedienza incondizionata l’avrebbe avvolta fino a restituirla a se stessa. L’aura di quell’uomo era talmente perfetta che ogni volta se ne stupiva. Nonostante, ormai, lo conoscesse da anni. Lo schiavo perfetto. Quando le avevano raccontato della sua esistenza e, di quella piccola bottega non ci aveva creduto. E invece lo scetticismo cinico della sua professione aveva dovuto arrendersi all’evidenza poetica della vita e del piccolo perfetto scrigno di sogni che la libreria rappresentava, per chiunque avesse la ventura di posarci piede anche solo per pochi minuti. Era diventata il suo rifugio. E lui il suo mentore. La sua guida. Bastava uno sguardo a volte e la sua anima guerriera trovava requie. Voleva credere che anche stavolta sarebbe andata così.
Lui il ragazzo l’aveva sconvolta. E non era certo impresa facile. La sua ribellione. Il silenzio. Gli sgarbi. L’aveva lasciata completamente esposta. Non tanto verso di lui. Questo era nell’ordine naturale delle cose. Ma verso se stessa. Aveva dovuto ammettere di non averlo previsto e questo era intollerabile. Le redini del gioco dovevano rimanere solo nelle sue mani. Non avrebbe mai permesso al ragazzo di scombinare le carte fino a quel punto.
Ora doveva trovare un modo chiaro, netto, inequivocabile per rimettere le cose a posto e placarsi. Mentre camminava a passo deciso verso la libreria era quasi certa di aver trovato cosa. Ma aveva bisogno dell’aiuto del librario.
Eccola. Aveva avvertito il tumulto della sua anima da tempo. Ma aveva aspettato. Non era pronta a venire da lui. Non ancora. Era splendida come la ricordava. Gli occhi di onice brillavano sotto la corta tesa della cloche di feltro rosso che indossava. E quelle gambe. La sicurezza ritmica delle sue falcate era inebriante. I tacchi di acciaio dei suoi stivali di camoscio nero brillavano all’insolito sole autunnale. Il cielo aveva deciso di regalare alla Signora una giornata degna di lei. Il libraio non aveva dubbi. Era pronta. Aveva preso una decisione. Quasi invidiava il ragazzo. Godere della furia scatenata di quella Signora era un privilegio. Un dono preziosissimo. Lui lo avrebbe custodito come il più prezioso dei diamanti. Non era così sicuro che il ragazzo fosse pronto a fare altrettanto. C’era ancora troppo orgoglio in lui. Non era pronto a piegarsi totalmente. Ma, se avesse superato degnamente questa prova, allora, sarebbe diventato un buon discepolo. Forse. Avrebbe finalmente potuto trasmettere tutto il suo sapere a qualcuno che ne fosse davvero meritevole.
Era stato sgradevole. Se ne rendeva perfettamente conto. Aveva lasciato che il vento gelido della rabbia nascondesse il dolore che provava. Era ferito. E non gli andava di mostralo. Proprio a lei. Così l’aveva colpita. Era quasi rimasto stupito di averlo potuto fare. L’effetto sorpresa della sua ribellione l’aveva lasciata con la guardia abbassata. Doveva riconoscere che lei però era stata grande nella sconfitta come, lo era sempre nella vittoria. Aveva incassato i colpi col sorriso. Non c’era stata una sola incrinatura apparente nel suo sorriso. Non aveva vacillato. Ma lui sapeva che, già, si stava preparando a fargliela pagare. Si era anche fuggevolmente chiesto se sotto tutto il dolore. Al fondo di quel dolore che gli ghermiva l’anima non l’avesse provocata apposta. Lo schiavo in lui ora tremava. Non sapeva distinguere se di anticipazione o paura. Ma avrebbe pagato fino all’ultimo centesimo. Non l’avrebbe delusa in questo. Mai. Lui le apparteneva di questo non avrebbe mai permesso che lei dubitasse un solo singolo istante.
Eccolo l’ingresso della libreria. Il vecchio librario lo accolse con un sorriso in cui brillava tutta la consapevole complicità di un uomo che conosce perfettamente il destino dell’altro. E forse un po’ lo invidia. Il giovane uomo seguiva i passi lenti del librario lungo la scala a chiocciola di molato ferro battuto. Verso quella stanza ricoperta di preziosi incunaboli e, rischiarata solo dalle torce. C’era già stato una volta. E non aveva mai potuto dimenticarlo.
Era seduta su una sedia medioevale che pareva un piccolo trono. Lo schienale rivestito di velluto cremisi incorniciava il suo volto dalla carnagione dorata accendendole gli occhi di riflessi ferini. Il corsetto di pelle viola che indossava sopra l’aderente gonna di seta non lasciava dubbi sulle sue intenzioni. Violente. Sanguinose. La bocca gli si era seccata. Le note della cavalcata delle valchirie riempivano l’ovattato silenzio della stanza. Un brivido di calda anticipazione lo attraversò.
Lo guardò. Ora che era davanti a lei. Si sentiva invasa da una calma perfetta. Il tavolo di ebano nero nell’angolo della stanza sembrava chiamarla sornione. Si alzò e afferrata la sottile striscia di cuoio nero spinse il ragazzo con il volto sul tavolo. Lo teneva schiacciato contro il tavolo con una mano. Sorrideva mentre con l’altra gli allacciava il collare dal quale pendeva una corta catena di acciaio a mo di guinzaglio.
“Oggi ti insegnerò un paio di cose ragazzo. Sono certa che non riuscirai più a dimenticarle. Ad una Signora si deve comunque rispetto. Alla propria Signora si deve sempre devozione. Sempre, ragazzo!”.
Senza nemmeno rendersi conto come si ritrovò coi polsi bloccati al muro, disteso sul tavolo. Supino. Le gambe spalancate. Lei si era sfilata la gonna e aveva agganciato la sua cintura fallica. Quella viola, che lui le aveva regalato. Nella mano destra lo spanker di cuoio nero.
Il libraio si accorse di aver trattenuto fiato. La Signora era magnifica. Una belva in procinto di sbranare la sua preda. Selvaggia e implacabile. Fiutava l’odore del sangue. Erano parecchi minuti che il giovane uomo taceva. Il libraio scrutava la sua anima in cerca di risposte. Voleva essere certo. Non poteva permettersi alcun errore. I suoi poteri erano preziosi per le Signore. Colui che lo avrebbe sostituito avrebbe dovuto essere uno schiavo perfetto come lui. C’era ancora tempo. Ma la sua era una vocazione. Un carisma limpido e raro come un diamante nero. Se nel ragazzo brillava anche solo una punta del suo stesso carisma ora l’avrebbe colta.
Il primo colpo arrivò netto. Se l’era aspettato. Proprio lì. Sui coglioni. Sussultò ma si costrinse a non emettere un gemito. Non gliel’avrebbe reso facile. Colpì ancora e ancora. Una sequenza ininterrotta di colpi. Dopo il ventesimo smise di contarli e si permise di emettere un gemito. Basso. Gutturale.
Contemplava le natiche e il ventre del ragazzo arrossate dai suoi colpi. Un gran bello spettacolo. Ma naturalmente non era che l’inizio. Non aveva fretta. Il ragazzo avrebbe implorato. Strattonando il guinzaglio lo costrinse ad alzare la testa e con un colpo secco gli ficcò la cappella del dildo viola in bocca.
Gli occhi gli brillavano. Il piccolo bastardo era davvero schiavo nell’anima. E forse nemmeno lui si rendeva conto quanto. Spinse più a fondo il dildo. Il ragazzo succhiava avido come se non avesse mai fatto altro. Come se fosse nato per quello.
Gli chiuse la gola con la cappella. Sentirlo soffocare intorno a quel cazzo. Il suo cazzo. Le mandava brividi di eccitazione a sciogliersi tra le cosce bollenti.
“Ahhhhhhhhhhhhhhh. Si. Signora. Si” Non gli aveva lasciato tregua. Stava ancora cercando di tornare a respirare normalmente quando lei glielo aveva messo nel culo. Un solo colpo. Secco. Violento. Si era sentito lacerare tutto. Anima. Corpo. Cuore.
Il ritmo di lei era in continuo crescendo. Lo martellava. Gli teneva le gambe spalancate e appoggiate sulle sue spalle. Era completamente inerme. Totalmente offerto a lei. E poi era iniziata la vera punizione:” Cosa sei tu? Avanti rispondi bastardo… e bada di non sbagliare. Sarebbe peggio per te…”. La voce di lei era dura. Lui si era sentito rimescolare. Come se lei, invece che insultarlo lo avesse accarezzato e, aveva risposto la voce rotta, ansimante. Il dolore che. invadendogli il cervello. diventava piacere squisito: “Sono una troietta. Una troietta in calore Signora”. “ E a chi appartieni piccola troietta disobbediente? A chi appartiene questo culo rotto? La voce della Signora era leggermente affannata mentre i colpi diventavano sempre più incalzanti e la fica le pulsava ad ogni affondo un po’ di più.
“A lei Signora. Appartengo solo a lei. Sono la sua troia. Creata per il suo piacere”.
Cazzo il ragazzo ne aveva davvero di fegato. Il libraio sedeva compiaciuto dietro lo specchio, celato da un bellissimo quadro di Frida, che ornava la parete di fronte al tavolo della stanza delle torture. E così non si era sbagliato. Aveva trovato il suo erede. L’animo del ragazzo era traboccante del bisogno di servire. Il libraio si concesse un dito di prezioso cognac mentre si accingeva ad assistere al gran finale.
“Spalanca le cosce per la tua Signora, troia. Ora ti sfondo questo culo divino che ti ritrovi. Ti spingo il cazzo fino in gola e ti riempio l’anima…”
Un minuto prima di essere travolta da un orgasmo devastante la Signora trovò al forza di stringere la mano sul suo frustino e mentre esplodeva bagnando le natiche arrossate, diede un solo colpo secco sui coglioni gonfi del giovane uomo che schizzarono sborra ovunque.
“Ecco gusta il tuo sapore schiavo. Il sapore della tua appartenenza. A me.”
Sganciato il dildo viola la Signora strinse la cintura della sua gonna di seta rapidamente e, mentre, le ultime note della cavalcata delle valchirie sfumavano, uscì dalla stanza. Il libraio le si fece incontro sollecito, porgendole la giacca di visone di cui lei si era liberata rapidamente appena arrivata. Accendendosi un corto sigarillo la Signora uscì nel nordico tramonto autunnale di quella città che amava.
Il libraio prese il suo barattolo di arnica, il canovaccio di lino bianco e scese rapidamente le scale verso la camera delle torture.
Il giovane giaceva sul tavolo. Sfinito. Gli occhi chiusi. Non aveva nemmeno provato a liberasi. Non sarebbe servito a niente. Ormai la Signora aveva marchiato per sempre la sua anima. Nessuna catena reale lo avrebbe legato più di quel marchio.
Il libraio depose il suo fardello sulla panca accanto al tavolo e in perfetto silenzio sciolse i polsi del giovane e sganciò il guinzaglio.
“Ecco ragazzo lì trovi tutto ciò che serve ora al tuo corpo. Per la tua anima, ti aspetto di sopra, davanti ad un buon bicchiere di cognac. Abbiamo molto di cui discutere. Davvero molto”.
lunedì 12 novembre 2007
Iscriviti a:
Commenti sul post (Atom)
1 commento:
...e chi ha orecchie per intendere intenda!!!!!!!
love, mod
Posta un commento